"What is there?", "Che cosa c'è?". Van Quine trovava curioso che il "problema ontologico" potesse adattarsi al formato familiare di una domandina di tre parole (anzi, com'egli si esprime, di soli "tre monosillabi anglosassoni"). Ma che dire delle possibili risposte a questa domanda? Esiste una lingua -- naturale, formale, edenica, perfetta -- che meglio possa dirci, o con più astuta sintassi, ciò che possiamo e dobbiamo sapere su ciò che c'è? Questo libro si propone di rispondere al quesito ontologico riflettendo sulla pluralità dei sistemi simbolici. Riferimento privilegiato è la filosofia di Nelson Goodman che può essere compendiata in queste parole: " Talvolta i filosofi confondono i tratti del discorso con i tratti del soggetto del discorso. Secondo questa linea di pensiero suppongo che, prima di descrivere il mondo in inglese, si debba determinare se è scritto in inglese e si debba esaminare accuratamente l'ortografia". Goodman come alternativa agli eccessi del semanticismo o come paladino di un approccio analitico all'estetica? Goodman relativista o irrealista? E che ne è, in tutto ciò, della verità?