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Tempo di uccidere

«Quando la campagna sarà finita non po­chi si precipiteranno a scrivere dei libri» annota Flaiano nel febbraio del 1936, men­tre, sottotenente del Genio, partecipa alla guerra d’Etiopia. «Già immagino il con­tenuto e i titoli: “Fiamme nel Tigrai”, “Africa te teneo”, “Tricolore sull’Amba”!». Non a caso, attenderà dieci anni prima di rica­vare da quella sofferta esperienza – fatta di sete e stanchezza, caldo e paura – un ro­manzo. Un romanzo sconcertante, tanto più in pieno clima neorealista, che ha come sfondo non la «terra ideale dei films Para­mount», ma il paese triste, ingrato, ambi­guo, sfuggente delle iene (e che dunque cela di necessità «qualcosa di guasto»), e al centro una vicenda «assolutamente fan­tastica»: un delitto futile e fatale, che scate­na in chi l’ha commesso un corrosivo deli­rio. E gli trasmette il morbo di un «impe­ro contagioso», di un senso di colpa in­scindibile dal rancore, di una pietà com­mista a disprezzo per un mondo ignoto, l’Africa – «lo sgabuzzino delle porcherie», dove gli occidentali vanno «a sgranchirsi la coscienza».